Washington-Dulles International Airport. Uno sbrigativo ufficiale della polizia di frontiera prende il mio passaporto, che ho tenuto in mano per quasi quaranta minuti mentre ero in coda insieme ad altri disperati. Lo guarda, lo gira, lo rigira, ma più per abitudine che per cercare qualcosa di fuori posto. Poi si ferma e mi chiede “qual è il motivo del viaggio?”. “Vacanza”, rispondo, e anticipo la seconda domanda che gli ho sentito fare a tutti quelli che mi hanno preceduto: “one week”. In automatico, neanche il tempo di rispondere, che subito lo vedo alzare la fronte e dire a voce sostenuta “next”, ridandomi indietro il mio documento.
Durata totale dell’operazione: 8 secondi. Sono dentro.
Sarà sicuramente una mia suggestione, o forse è dovuto al fatto che c’era molta calca in aeroporto, ma quando sono entrato in Florida e in Texas i controlli mi erano parsi più scrupolosi.
Vi ricordo che il Pantoprazolo questa settimana andrà in onda alle ore 21.00
Quelli che certamente scrupolosi non sono, sono i check che vengono fatti in California per ammettere le persone al voto.
C’è un video che gira su X girato da un ragazzo che si presenta al seggio per votare. L’addetta, per identificarlo, gli chiede le prime tre lettere del nome e del cognome, il numero civico di residenza e, infine, il suo anno di nascita.
Tutto questo perché in California per votare non può essere chiesta la carta d’identità, e quindi l’identità dell’elettore non può essere certificata. L’impiegata la controlla sul suo computer solo a partire da queste informazioni, ma non ha modo di sapere se la persona che gliele sta fornendo sia davvero chi dice di essere.
Il ragazzo, tuttavia, vuole dimostrare quanto sia fallato il sistema, e così prima fornisce le informazioni richieste e poi si rifiuta di confermale. Alla domanda sull’anno di nascita, per esempio, risponde “1985”, ma poi aggiunge “potrebbe anche non esserlo”. E da lì inizia un surreale battibecco in cui la ragazza addetta all’identificazione, raggiunta da quella che sembrerebbe essere la sua responsabile, cerca di farsi dare la conferma dei dati forniti dal ragazzo.
Senza riuscirci, perché il nostro continua a prenderle in giro, sconfessando i dati appena forniti e mettendoli in dubbio.
Alla fine comunque viene accettato al voto, e gli viene chiesto di firmare la ricevuta della scheda elettorale. Cosa che dovrebbe tranquillizzarlo, perché la Contea certificherà il suo voto solo dopo la comparazione tra la firma appena apposta e quella lasciata al momento dell’iscrizione alla lista elettorale.
Questa è l’unica vera “operazione di verifica” che viene fatta in California. Se vogliamo credere che venga davvero fatta. Intanto il ragazzo ha votato e ha ottenuto la sua scheda elettorale semplicemente fornendo dei dati poi messi da lui stesso in discussione.
Ma c’è un’altra cosa inquietante: dopo essere stato “identificato” l’impiegata ha detto “va bene, cancellerò il tuo voto postale”.
Eh sì, perché tutti i cittadini californiani hanno anche la possibilità di votare per posta, quindi la stessa persona che si presenta al seggio potrebbe anche aver inserito già il suo voto nella apposita cassetta postale.
E certamente non dovrebbe (almeno in teoria) poter votare due volte. Però, non si può neppure impedirgli di andare anche al seggio, anche perché sarebbe impossibile verificare con certezza chi ha già votato per posta e chi no.
Perciò quello che si fa è annullare i voti postali di coloro che si presentano al seggio.
Nella pratica significa che quando i voti postali verranno conteggiati, quelli che sulla busta riportano i dati di coloro che hanno votato anche di persona dovrebbero essere cestinati.
Tuttavia, questo apre grandi scenari e grandi possibilità di frode. Perché dentro quelle buste ci sono schede elettorali anonime (solo la busta, ovviamente, riporta i dati dell’elettore) che una volta estratte dalle buste sono perfettamente “valide”. Sono cioè indistinguibili dalle altre, e con le altre possono essere mischiate. E sono quindi perfette per essere usate in operazioni sporche.
Certo, sto parlando in termini generali e potenziali, anche se di dubbi in tal senso nelle elezioni 2020 ce ne sono molti, come vi ho raccontato nel mio approfondimento di qualche mese fa.
Tenete conto poi che le stesse regole, o regole simili a quelle Californiane, valgono anche in altri stati americani. E dunque la domanda diventa: come è possibile che il paese più avanzato del mondo abbia un sistema elettorale da Repubblica Popolare centroafricana?
Nei prossimi giorni ne vedremo delle belle, e io vi accompagnerò durante il voto americano sia con questa newsletter, sia con il Pantoprazolo quotidiano (alle 21, mi raccomando!).
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Grande Andrea Vai avanti così ci in il tuo prezioso lavoro💪
Una cosa mi colpì negli States: fai fila, fai fila dappertutto, non ci di scavalca, anche perché le file sono tutte ordinatamente disposte lungo corridoi di cordoni. Ma passi sempre, passi dappertutto. Nei siti turistici ci sono puntualmente dei cartelli, estremamente veritieri, che ti dicono “Da questo punto ci sono 13. o 10, o 15 minuti di fila da fare”. Ed è sempre esattame così.
Qui, in Italia persino Report ha cercato di distruggere Trump, associandolo alla peggior mafia italiana. Mi ha stupito che di Biden, di Hunter e della Harris non si è detto nulla: tutta gente a posto.
T’INVIDIO ANDREA!!!