Secondo numero della lettera e siamo già in ritardo di un giorno. Ma niente paura, sono solo via per realizzare un documentario sull’Irlanda, o meglio, sulla storia dell’indipendenza irlandese.
Una storia che è un mosaico di massacri e che contiene anche un genocidio, tecnicamente parlando. Uno di quelli veri, con milioni di morti documentati, non uno di quelli da sei-otto cadaveri di cui non si conosce nulla, neppure le modalità di uccisione o il contesto, e che poi giornali e televisioni si spolmonano per chiamre “genocidio”. Sceglietene voi uno, negli ultimi mesi ne abbiamo avuti a bizzeffe.
Comunque, il mio documentario uscirà a novembre, su YouTube. Tempo al tempo.
Derry è una bella cittadina dell’Irlanda del Nord, l’unica in tutta l’Irlanda e una delle poche in Europa che conserva ancora per intero le mura di fortificazione, che siccome sono state costruite e pagate dagli inglesi, le hanno anche fatto cambiare nome in Londonderry, nel 1613.
Ma è meglio non chiamarla così. A Derry, si è semplicemente a Derry.
D’altra parte lo capiamo, anche noi Roma la chiamiamo Roma, perché ci infastidirebbe chiamarla con il suo vero nome di Bruxellroma.
L’aria che si respira a Derri la si capisce non appena si esce da quelle mura di fortificazione, e vagando tra le vie del Bogside ci si imbatte nei murales, nelle scritte e nelle manifestazioni di sostegno all’I.R.A., perché la guerra, da queste parti, non è mai davvero finita.
La sensazione è quella di sedersi su una polveriera pronta a saltare per aria.
Un clima che chiunque troverebbe normale nella striscia di Gaza, o a Damasco, ma che pochi si immaginano in Europa, nella verde irlanda delle pecore e della Guinness.
Ed è una sensazione che se culmina in Derry, non ti abbandona finché non lasci il confine dell’Irlanda del Nord, dove gli striscioni ti ricordano che da queste parti l’espressione “No Border” non è lo slogan di disadattati ignoranti privi di cultura e intelligenza che pensano di essere “cittadini del mondo” in un pianeta senza confini.
Qui “No Border” significa “se arriva una frontiera, se mettete una dogana, vedrete i vostri hotel sventrati dalle bombe”. Lo hanno già fatto, e lo rifaranno.
Viaggiare in Irlanda del Nord riporta a più miti consigli il lettore distratto che negli ultimi mesi si è fatto condurre dalla propaganda in un mondo del sottosopra dove i fatti vengono letteralmente ribaltati.
Qui, sul confine tra il territorio UE e quello Extra UE, si capisce l’Unione Europea. La sua debolezza. La sua reale inconsistenza.
Qui c’è il bug che può mandare in crash il sistema.
La singolarità pronta a trasformarsi in buco nero.
Il cul-de-sac della Von Der Leyen, altro che quello voluminoso dell’in-🔑-bile Angela.
Quello dell’Irlanda del Nord è il confine di Schrödinger, una barriera che esiste e non esiste contemporaneamente. Grazie alla Brexit il Nord è territorio extra ue, mentre la Repubblica d’Irlanda è parte del’UE. Per entrare nella UE, soprattutto trasportando merci, bisognerebbe rispettare le regole della UE, e per verificarlo servirebbe una dogana.
Altrimenti il commercio si chiama contrabbando.
Ma la dogana non si può mettere qui, perché se no salta tutto per aria. Letteralmente. Gli irlandesi che vivono a nord e che da secoli combattono per l’Irlanda unita - vivendo in una terra che gli è stata rubata dagli inglesi - sono pronti a morire pur di mantenere per lo meno libertà di movimento dentro la loro isola.
E così l’Europa del cul-de-sac Von Der Leyen anziché spezzare in due l’Irlanda, vuole spingere la frontiera in casa altrui e spezzare in due il Regno Unito, imponendo un confine interno a un paese estero, tra Irlanda del Nord e Gran Bretagna. Un po’ come se Bruxelles imponesse alla Euroitalia una dogana tra Sardegna e terraferma.
Non funzionerà. L’Unione Europea ha una falla gigantesca come quella del Titanic, ma nessuno se ne è ancora realmente reso conto.
Siamo più arrapati dalla disperazione russa, quella di Putin, gonfiando il petto con l’ottavo pacchetto di sanzioni, che tra parentesi ha spinto la produzione russa verso l’alto e la recessione più nera in casa nostra.
Ma forse stiamo seguendo un principio francescano di abbandono dei beni materiali, privandoci volontariamente del superfluo per iniziare a chiacchierare con uccelli, nutrie e triglie (di queste una ce l’abbiamo per ministro, prove tecniche di trasmissione).
D’altra parte la parola di Gesù Cristo la stiamo già applicando, e infatti chiamiamo debole e disperato chi gonfia la faccia di botte al suo avversario.
Ho letto che i quasi cento missili lanciati dalla Russia su Kiev sarebbero il segno della disperazione di Putin e della forza ucraina. Beati gli ultimi.
La dimostrazione che Mosca può colpire il cuore della capitale ucraina quando e come vuole, rendendola cenere se lo desidera, anziché gettare il seme del dubbio su cosa effettivamente la Russia abbia intenzione di fare in Ucraina, alimenta l’idea che l’Armata Rossa sia alle corde.
Allora per davvero diciamo beati gli ultimi poiché saranno i primi nel regno dei cieli. Solo che qui sono primi nella hit parade sociale anche gli ultimi in classifica per intelligenza. Gli scarti. Le frattaglie.
Forse sarebbe il caso di recuperare lucidità osservando meglio la realtà.
Fatevi un giro a Derry. Datemi retta.
Sono molto curiosa di sapere e conoscere questa parte di storia a me completamente sconosciuta. Ti sono grata per il tuo impegno e per il tuo lavoro, che svolgi con grande integrità. Io da quando ti ho scoperto ti seguo sui canali YouTube e su Twitch come macedoine61.